Gli esseri umani vivono aggrappati ciascuno alla propria conoscenza e alla propria rappresentazione del mondo e questo chiamano "realtà"... però i concetti stessi di "conoscenza" e "rappresentazione" sono quanto mai labili e ambigui... nessuno può essere sicuro che ciò che chiama realtà non sia solo una illusione. In fondo, non è forse vero che le persone vivono immerse nel torpore dei propri preconcetti?

martedì 12 giugno 2012

In coma ma coscienti di esserlo

Terribile scoperta Canadese.



Le persone in coma sono coscienti della loro condizione. La conferma di quanto ad oggi solo sospettato è arrivata dai ricercatori canadesi, che hanno scoperto come le onde cerebrali dei pazienti in stato vegetativo rispondano agli stimoli esterni. La scoperta potrebbe cambiare l’approccio etico alla questione dell’animazione forzata, scelta che le famiglie delle persone in coma potrebbero dover fare. Sapere che il proprio caro in coma sente tutto e potrebbe rimanere intrappolato, e cosciente, nel proprio corpo per anni prima di risvegliarsi o morire come potrebbe influire sulla propria decisione da prendere per lui.
Lo studio canadese ha analizzato gli elettroencefalogrammi, Eeg, e le risonanze magnetiche Mri, di 16 pazienti in coma. I ricercatori Adrian M. Owen e Damian Cruse dell’università Western Ontario hanno poi comparato gli esami clinici dei soggetti in coma con quelli di 12 pazienti sani, scoprendo che tre dei pazienti in coma hanno attività delle onde cerebrali subito dopo stimoli esterni molto simile a quella dei soggetti sani. Per Owen e Cruse questa è la conferma che le vittime di coma sono consapevoli di ciò che accade intorno a loro e del proprio stato. Anche l’Mri ha confermato i risultati ottenuti con le Eeg, un risultato terribile sia per le vittime che per i loro cari, intrappolate in un corpo che diviene una prigione.
14 novembre 2011
http://www.blitzquotidiano.it/salute/coma-coscienti-canada-onde-cerebrali-1016130/    e   http://informiamo.altervista.org/forum/viewtopic.php?f=16&t=90



Per portare qualche prova a favore di quanto scritto nell’articolo: “In coma ma coscienti di esserlo: terribile scoperta canadese” vi posto qualche esempio pratico, qualche testimonianza diretta. Anche per rispondere ad alcune domande sorte sia qui nel blog sia in FB. Spero vi possa essere utile.
Tratto da: http://proveinserimentitec.myblog.it/archive/2011/10/29/in-coma-ma-era-cosciente.html

Da “ Le Figaro” riporta una storia assurda e drammatica. Un uomo, nativo del Belgio, di 46 anni ha passato 23 anni in un letto di ospedale per quello che gli era stato diagnosticato come un coma profondo. Ma tre anni si è scoperto che il paziente è stato sempre cosciente, rilevato dalle analisi ultime.

“Gridavo, ma non mi potevano sentire”. Con queste parole Rom Houben, questo è il nome del paziente, sintetizza tutta la sua amarezza per la brutta esperienza che ha vissuto per 23 anni. Nel 1983, a seguito di un incidente stradale, resta paralizzato e finisce in coma profondo, cos’ diagnosticato dai Dottori dell’ospedale. Colpo di scena, dalle nuove analisi effettuate all’università belga di Liegi, nel 2006, dal dottor Steven Laureys, rilevano l’incredibile, se si può dire l’errore di sottovalutazione o mancanza professionale di alcuni, che Rom era in effetti pienamente cosciente di quello che accadeva intorno a lui, anche se paralizzato. Lo si apprende solamente oggi tramite una pubblicazione del medico che lo ha salvato sulla rivista di neurologia BMC Neurology.E’ dal 1983, che Rom Houben capisce quello che dicevano i medici sulle sue condizioni. “Per tutto questo tempo, sognavo una vita migliore. La frustrazione è una parola troppo debole per descrivere quello che provavo”, racconta. Ora Rom Houben può comunicare grazie ad un sistema informatico che gli permette di scrivere dei messaggi per mezzo di un computer. “Non dimenticherò mai il giorno in cui hanno scoperto il mio problema. E’ stato come nascere una seconda volta”, come dice Rom, “Voglio leggere, parlare con i miei amici via computer e approfittare della mia vita adesso che la gente sa che non sono morto”.

Il dottor Steven Laureys e convinto che numerosi pazienti considerati in stato vegetativo sarebbero in realtà vittime di errate diagnosi. “Al 41% dei pazienti in stato di minima incoscienza viene diagnosticato erroneamente uno stato vegetativo”.

Questa, pur sempre triste vicenda, potrebbe avviare un dibattito sull’opportunità di discussione per mettere sul tavolo la questione della fine alla vita delle persone considerate in coma da anni e di cui si ritiene che non ricupereranno mai le loro facoltà.

VIDEO:



Tratto da: http://brainfactor.it/index.php?option=com_content&view=article&id=211:cervello-e-coma-40-pazienti-in-stato-vegetativo-sarebbe-cosciente&catid=25:neuroetica&Itemid=3

Più del 40% delle persone con diagnosi di “stato vegetativo” sarebbe in realtà “minimamente cosciente”. Lo riporta oggi il New Scientist in un articolo dedicato ai nuovi metodi di valutazione dello stato di coscienza nei pazienti in coma (Biever C, Doctors missing consciousness in vegetative patients, New Sci, 21 July 2009).

“Se c’è una cosa peggiore del coma, è quando gli altri pensano tu sia in coma ma non è vero”, scrive Celeste Biever sul New Scientist. E in questa terrificante condizione non si troverebbero soltanto alcuni casi isolati sporadici, bensì più di 4 persone ogni 10 che vengono correntemente dichiarate in “stato vegetativo”. ”E’ un problema di diagnosi sbagliata – spiega la Biever – che ha importanti ripercussioni sulle decisioni in merito non solo alla vita o alla morte del paziente, ma anche al tipo di trattamento a cui può venire o meno sottoposto, precludendo in alcuni casi le stesse probabilità di recupero”. Nello “stato vegetativo” (SV) i riflessi sono intatti e il paziente può respirare senza ausilio, ma è privo di consapevolezza. Lo “stato di minima coscienza” (SMC) è una sorta di linea di confine, solo di recente preso in considerazione nelle diagnosi, in cui le persone possono in qualche modo percepire dolore fisico, esperire emozioni, addirittura comunicare. Nell’SMC la coscienza sarebbe però fluttuante, intermittente e incompleta, tanto da rendere difficile la decisione diagnostica fra stato vegetativo e stato di minima coscienza.

I primi criteri diagnostici dell’SMC sono stati pubblicati nel 2002 da Joseph Giacino del JFK Rehabilitation Institute in New Jersey (Giacino et al., The minimally conscious state: Definition and diagnostic criteria, Neurology 2002). Sempre Giacino e colleghi nel 2004 hanno pubblicato la Revised Coma Recovery Scale (CRS-R), una serie di test comportamentali basati sui criteri che possono essere usati per distinguere fra SV e SMC. Per verificare se la CRS-R può migliorare la diagnosi di questi pazienti borderline, Giacino e i colleghi del Coma Science Group dell’Università di Liegi, hanno condotto uno studio, durato due anni, fra il 2005 e il 2007, durante il quale hanno diagnosticato nuovamente pazienti già valutati con i tradizionali metodi di “consenso clinico” presso una rete di unità di cura intensiva e cliniche neurologiche dislocate sul territorio del Belgio, scoprendo che alcuni medici specialisti si basavano soltanto su osservazioni qualitative al letto del paziente, altri utilizzavano vecchi strumenti diagnostici, nessuno utilizzava la CRS-R. Risultato: dei 44 pazienti diagnosticati in stato vegetativo da parte dei clinici di cui sopra, ben 18 (cioè il 41% del totale) risultavano in SMC secondo i criteri della CRS-R. Il nuovo studio di Giacino e colleghi – destinato a far riflettere molti, non solo medici e personale sanitario – è stato pubblicato oggi sulla rivista open access BMC Neurology (Schnakers C et al, Diagnostic accuracy of the vegetative and minimally conscious state: Clinical consensus versus standardized neurobehavioral assessment, BMC Neurol, 21 July 2009).

“Allora perchè i medici adottano ancora una valutazione qualitativa del paziente?” si chiede la Biever . “Il fatto è che i medici si focalizzano tradizionalmente sulla morte o sulla sopravvivenza del paziente, su fattori biologici che richiedono trattamento, su questioni del tipo per quanto tempo è necessario che il paziente resti nell’unità di cura intensiva; insomma, per i loro scopi la distinzione fra VS e SMC è di poca importanza…” le risponde John Whytedel Moss Rehabilitation Research Institute di Philadelphia. Ma per i famigliari la differenza fra VS e SMC è della massima importanza, in funzione delle decisioni relative al possibile trattamento, con farmaci, antidolorifici, stimolazione cognitiva del cervello, tecniche di miglioramento delle capacità comunicative residue.

L’articolo sottostante, è datato 2006, questo per far comprendere che gli studi sul coma non sono recentissimi ma già da tempo la medicina si interroga sul coma e lo stato vegetativo. (Anche prima del 2006)

Tratto da: http://archiviostorico.corriere.it/2006/settembre/09/cervello_resta_cosciente_anche_coma_co_9_060909002.shtml

«Il cervello resta cosciente anche in coma vegetativo»Uno studio inglese riapre il dibattito etico. Su “Il Corriere della Sera“

ROMA – Un urto contro il guard rail, l’ auto che sbanda. Lei sbatte violentemente il capo e cade in un sonno profondo. «Stato vegetativo persistente», scrivono sulla sua cartella i medici di un ospedale britannico. Condizione che significa perdita di coscienza di sé e di consapevolezza dell’ ambiente. La ragazza, 23 anni, apre gli occhi ma non vede, muove la bocca ma solo per emettere suoni incomprensibili. Dopo cinque mesi i neurologi del Medical Research Council di Cambridge misurano il suo stato di «responsività» con la risonanza magnetica funzionale (Rmf). E scoprono che ha reazioni cerebrali del tutto simili alle persone sane. Il suo cervello, stimolato da ricordi piacevoli, si eccita, si accende, quando le si chiede di immaginare di giocare a tennis o girare per casa. La storia viene descritta in un articolo pubblicato sull’ ultimo numero di Science dallo psichiatra Adrian Owen e fornisce nuovi spunti ad un dibattito etico fra i più controversi della medicina moderna. Quando e se sia giusto negare le cure e il mantenimento artificiale in vita ai malati in coma visto che la scienza è ancora sprovvista di strumenti certi per stabilire se hanno possibilità di risalita. Per Owen «i risultati confermano senza ombra di dubbio che la giovane per quanto in coma vigile fosse coscientemente consapevole di se stessa e dell’ ambiente circostante e dimostrano l’ importanza dell’ uso della Rmf». Ma nel timore di illudere le famiglie di ragazzi in coma, gli esperti aggiungano alla fine una chiarimento fondamentale affinché le conclusioni della ricerca non vengano generalizzate. Una precisazione dettata dal timore delle eventuale conseguenze della ricerca, soprattutto sul piano etico. E insistono sulla profonda differenza tra la ragazza «che ha giocato a tennis nella sua testa» e Terry Schiavo, staccata dalle macchine che la nutrivano e dissetavano dopo 15 anni di stato vegetativo permanente, quindi irreversibile. L’ autopsia ha confermato che per la donna americana non ci sarebbe stata mai più luce, mai più risveglio. Francesco D’ Agostino, presidente uscente del Comitato nazionale di bioetica, trae dallo studio nuovi argomenti per riaffermare il diritto «costituzionale» di ogni individuo ad essere accudito «fino a che non verrà definito un criterio rigoroso per dimostrare che ha raggiunto un punto di non ritorno alla coscienza». E insiste sul principio di precauzione: «Quando dalle neuroscienze verrà offerto uno strumento certo per decidere se esistono capacità di ripresa allora potremo discutere sulla interruzione delle cure. Non si può intervenire basandosi su dati probabilistici». Adriano Pessina, direttore del centro di bioetica dell’ università Cattolica, sottolinea il legame sempre più stretto tra scienza ed etica: «Vanno di pari passo. Se la scienza è condotta con chiarezza non smentisce le tesi della filosofia che ci dicono che anche le emozioni sono presenti nelle persone la cui lampadina è spenta ma solo perché la luce si è interrotta». Rita Formisano, neurologa dell’ Ircss Fondazione Santa Lucia, ragiona da tecnica: «La novità interessante dello studio di Owen consiste nell’ uso della risonanza magnetica funzionale come strumento per valutare se è in corso un’ evoluzione verso uno stato di minima coscienza. Siamo solo agli inizi. Mi stupisce però che gli autori non abbiano fatto distinzione tra la diagnosi di stato vegetativo e il cosiddetto locked-in, letteralmente chiuso-dentro, col quale si indica un paziente che pur non muovendo gambe, braccia e bocca, ma solo le palpebre, è tuttavia cosciente ed è dunque prevedibile che possa rispondere agli stimoli». E Paolo Rossini, neurologo del Fatebenefratelli: «Siamo di fronte a un caso di stato vegetativo che è meglio chiamare prolungato e può finire col risveglio specie dopo un trauma». A 5 mesi dall’ incidente e dal trauma cranico la giovane mostrava tutte queste caratteristiche. Occhi aperti, nessuna capacità di contatto con l’ ambiente esterno, ma regolare nel ritmo sonno-veglia. I medici hanno provato anche a sottoporla a test più impegnativi parlandole in modo poco comprensibile e costringendola ad attivare quei percorsi neurali per la decifrazione del linguaggio. Proprio come nei sani. Le fotografie delle zone che si sono accese corrispondevano. COMA «PERSISTENTE» Gianluca Sciortino nel 1992 uscì dal coma ascoltando una canzone di Venditti (insieme nella foto). Era in uno stato vegetativo persistente COMA «IRREVERSIBILE» L’ americana Terry Schiavo restò in coma permanente per quindici anni. Nel 2005 la Corte diede il via libera all’ eutanasia

De Bac Margherita

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